Esperienze fotografiche

Quando ero un bambino e vivevo in Lombardia mi capitavano spesso dei pomeriggi nei quali mi ritrovavo a schiacciare il naso sul vetro della finestra. La finestra della cucina, la stanza più calda di quell'appartamento in quei freddi inverni a Caponago.

Amavo alitare sul vetro di nascosto da mia madre, che altrimenti mi sgridava, e vedere formarsi tutte quelle goccioline di condensa che trasformavano la realtà e la incantavano.

Sono passati svariati anni ma la volontà che ho di restare incantato non è passata, anzi attingo a quei ricordi di incanti fanciulleschi per potermi ancora stupire quando faccio una fotografia: è una qualità di cui io ho bisogno e che accende la mia voglia di catturare un'immagine che poi finisce sempre per somigliarmi.

La conoscenza e la tecnica mi servono solo per poter compiere questo gesto, sono al servizio dell'immagine, del racconto o meglio della suggestione, non il contrario; ma è necessario essere dotati di tali conoscenze, altrimenti sarebbe come voler scrivere un storia ignorando le regole della grammatica: possiamo immaginarne una fantastica, ma se non sappiamo raccontarla ne comunicarla agli altri troverà posto solo dentro noi stessi.

Soltanto allenando l'occhio e la mente si può arrivare a scattare delle foto che ci rappresentino, che mostrino agli altri, che parlino per noi: bisogna stare li dietro quel vetro ancora ed ancora, al buio, provando senza sosta tra foto mosse, messe a fuoco sbagliate, esposizioni troppo brevi o troppo lunghe, ed avere di nuovo la capacità di rimanere incantati, come quando il tempo passa e non te ne accorgi perché sei felice.

Tutto questo io lo chiamo Esperienze Fotografiche.