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A volte ci troviamo, come nella vita, ad affrontare situazioni imprevedibili.
Sto parlando di fotografia sportiva, che si tratti di uomini, cavalli o macchine ma anche danza, sfilate di moda e spettacoli teatrali.
E’ necessario analizzare velocemente la situazione in cui ci troviamo: c’è abbastanza luce? È luce naturale o artificiale? È necessario fare un paio di prove, se non si è troppo pratici, per impostare la macchina fotografica, anche in base all’obiettivo più o meno luminoso che si possiede.
Se c’è molta luce potremo permetterci di avere tempi brevi e di fare scatti a raffica. Spesso i luoghi in cui si svolgono questi eventi sono illuminati, ma il tipo di illuminazione, in alcuni casi, potrebbe non essere adatto alla fotografia.
Quello di cui voglio focalizzare l’attenzione è l’inquadratura e mi ricollego all’inizio di questo pseudo articolo: gli eventi imprevedibili.
Quello che ci viene spontaneo, avendo uno o più soggetti in movimento, è seguirlo, visto che non possiamo dirgli cosa fare e come. Ma il soggetto, un giocatore di calcio, un ballerino o quel maledetto chitarrista che non sta mai fermo, potrebbe improvvisamente cambiare la traiettoria dei suoi movimenti, o fermarsi di botto, il maleducato. E noi, click! Lo fotografiamo a metà, se va bene. E allora che fare? Scattiamo a raffica? Potrebbe essere una soluzione, se siamo in presenza di una buona luce, soltanto che in breve tempo ci troveremmo la memoria piena. E allora?
Allora bisogna prevedere le mosse del soggetto, imparare a conoscerlo (sempre se si ha tempo per farlo, sennò via con la raffica), seguirlo ma a un certo momento anticiparlo, sincronizzarsi con i suoi ritmi, guardare l’ambiente nel quale si muove… bisogna insomma avere un quadro generale del contesto.
Ci vuole tempo, allenamento e dedizione. Un mio maestro, Mario, una volta mi disse che anche in chiesa, durante un matrimonio, è fondamentale conoscere i ritmi della cerimonia, che cambia a seconda del sacerdote. Mi disse che bisogna apprenderli per non sbagliare. Dopo essermi cimentato anche io in quel tipo di fotografia non posso che confermarlo.
Poi c’è un altro fatto: noi “fotoreflexati” nel momento esatto in cui pigiamo il tasto per fare la foto non vediamo niente.
Vediamo un attimo prima e un attimo dopo, ma il fotogramma che scattiamo, quello lo regaliamo agli altri. Non ci godiamo un attimo cruciale per renderlo pubblico.
Quel momento di buio bisogna immaginarlo e prevederlo, perché non ne abbiamo assolutamente il controllo visivo.